“Io non sono normale. Adesso che si può uscire non ne ho voglia.”
“Ho paura che se esco muoio.” “Ah, da quando??” “Da adesso… quando c’era il lockdown mi sentivo al sicuro in casa.”
La famigerata fase 2 non è solo quella della riconquista della nostra agognata libertà: pare essere infatti anche quella della resa dei conti, dei dolori, antichi o recenti o presenti, che hanno bussato alla nostra porta quando non potevamo scappare. Parti di noi profughe, rifiutate, malconce, che portano con sé dolori di guerre lontane, ferite e cicatrici dimenticate.
Nel mio lavoro di psicoterapeuta sto ricevendo moltissime chiamate, email, messaggi con richieste di aiuto urgenti e disperate: immaginavo una moltitudine di traumi da Covid 19, lutti, ospedalizzazioni, i martoriati operatori sanitari… e invece arrivano proprietari di vite affermate che nel lockdown sono andate in pezzi, si presentano portando tra le mani cocci di identità che mai avrebbero pensato così fragili.
C’è da chiedersi, in questa fase 2, se questo trauma collettivo non ha avuto l’infausto compito di aver tolto un po’ di maschere, scoperchiato un po’ di vasi di pandora, mettendo a nudo la fragilità degli equilibri che la nostra cultura nascondeva.
Perché non solo chi già stava male adesso collassa: tante persone in realtà con il lockdown si sono riavvicinate a se stesse. E non hanno poi trovato una così cattiva compagnia. C’è chi è dimagrito, chi ha iniziato a fare attività fisica regolare, chi ha riscoperto il partner, chi ha scoperto il pollice verde e la meditazione.
“Da quando è iniziata la fase 2, mi è venuto il panico. Forse sono anche depressa, non amo più la mia vita di prima. Durante la quarantena mi ero finalmente sentita normale.”
“Busy is the new fine”: descrive così la nostra società una scrittrice di Seattle, Megan Wildhood, una nuova “dipendenza socialmente accettabile” dal lavoro, dagli impegni, da agende iperboliche in cui la deprivazione di sonno è segnale distintivo del nostro essere inseriti e adeguati. Gestire figli, partner, animali domestici e casa in quest’ottica è essere amministratori delegati di un’organizzazione di tate, colf e dog sitter, in una dimensione di vorticosa lontananza esistenziale dalle nostre vite e dalle nostre scelte.
E in un istante… STOP.
Un pipistrello, un paziente 1, una diretta Facebook e la centrifuga si ferma.
Basta traffico, dalla finestra si sentono le ambulanze, ma anche gli uccellini. Per strada un silenzio eclatante, una primavera surreale in cui improvvisamente ci ritroviamo genitori, educatori, panificatori, giardinieri di qualche metro quadro di balcone sgarrupato. C’è chi in questa dimensione si è schiantato, e chi ci si è affezionato, ha smaltito l’adrenalina, ha scoperto che al posto delle 3 ore giornaliere in tangenziale si può fare yoga, che il riempirsi di impegni per le prossime 3 reincarnazioni non è un imperativo categorico, ma solo un tentativo di stare al passo e non sentirsi sfigati, ma se tutti stanno a casa posso rilassarmi e ascoltare i ritmi che il mio corpo vorrebbe davvero per me.
Il riadattamento alla vita normale non è facile e la fatica accomuna un po’ tutti. Chi nel regno addormentato ha incontrato i suoi fantasmi, chi ha riscoperto la propria vera dimensione eroica nell’occuparsi di figli e DAD in un bilocale, e chi ha trovato che la mindfulness potrebbe esser meglio dell’happy hour con le occhiaie alla fine di una giornata troppo lunga.
Il problema ora non è banale, perché tante, troppe persone stanno malissimo; tra queste molti adolescenti, che prima hanno rallentato, si sono adattati, e adesso cercano vie di fuga per anestetizzare la fatica della ripresa. Il mio auspicio è che tutti noi troviamo la forza di prenderci cura gli uni degli altri, in modo professionale e in modo informale, che quella solidarietà urlata dai balconi adesso si trasformi nell’impegno concreto ad amare davvero la nostra vita e la nostra libertà, forse un po’ meno scontata, ora. Che le risorse che abbiamo maturato nel grande fermo immagine del 2020 possano continuare ad accompagnarci. Che chi ha incontrato il proprio Dolore possa usarlo per ascoltarsi, per liberarsi di armature troppo strette, tanto da impedirgli di respirare.
Se senti il bisogno di avviare un percorso psicoterapico o vuoi maggiori informazioni, puoi contattare la dott.ssa Accornero al seguente recapito:
Dott.ssa Elisa Accornero Psicologa dello sviluppo – Psicoterapeuta oncologica –
EMDR– Mindfulness – Ipnosi
Comentários