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Cosa succede nella stanza psicanalitica?

Aggiornamento: 11 nov 2020

Cosa succede in quella stanza? Cosa si cela dietro due poltrone e quattro mura? Cosa intende l’analista quando dice la parola setting? Usa il lettino? Lo vedrò in viso quando parlo? Starà in silenzio o è uno che parla?

Quante fantasie attiva la stanza d’analisi.

Ogni psicoanalista ha il suo studio o per lo meno ha il suo stile anche nell’arredamento della stanza analitica. Il contenitore che si apre a contenuti inconsci a relazioni inconsce, ai sogni e all’immaginazione.

Il setting è costituito dal set (ovvero dall’ambiente fisico e funzionale all’interno del quale ha luogo la relazione analitica), dalle regole organizzative del “contratto analitico” (orario, durata e pagamento delle sedute), e dalle regole relazionali che mediano il rapporto analista-analizzando (assenza di contatti extra-analitici, etc.). Il setting costituisce l’assetto di base del rapporto analitico.

In psicoanalisi il setting delimita un’area spazio-temporale vincolata da regole che determinano ruoli e funzioni in modo da poter analizzare il significato affettivo dei vissuti del paziente in una situazione specificatamente costruita per questa rilevazione (Galimberti 1992, p. 871).

Si parla di Temenos, termine che deriva dal termine “tagliare“, indica la dotazione, decisa per atto pubblico, di un appezzamento di terreno a un privato (re, eroe, divinità), come attestato di onorificenza. Nell’antica religione greca significa recinto un luogo ben delimitato. Il termine poi passò a luogo sacro, luogo di culto. Il setting con le sue regole di spazio e di tempo è un temenos, un luogo sacro in cui l’analizzando mette in scena il suo disagio in uno spazio che fa da contenitore.

Mette in scena, nel senso che in funzione della relazione, di cui fanno parte il transfer e il contro-transfert, l’analizzando ricrea la relazione che gli crea disagio “trasportandola” sull’analista.

L’analista ha il compito di riconoscere il transfert (i sentimenti trasferiti sull’analista) e di utilizzarlo per aiutare il paziente a raggiungere l’obiettivo dell’analisi.

Si può ritenere il setting come un archetipo, quale forma eterna e immutabile di “relazione che cura” . Dato che “l’archetipo è in sé un elemento vuoto, formale, nient’altro che una facultas praeformandi, una possibilità data a priori della forma di rappresentazione” (Jung, Opere 9, p. 81) è sensibile di un contenuto ma formalmente immutabile, rimane immutabile ma può accogliere diversi contenuti.

Molte persone quando decidono di iniziare un percorso di analisi personale fanno dei sogni sul futuro analista o sulla stanza di analisi. Ricordo il sogno di una donna che prima che incontrasse per la prima volta il suo analista aveva sognato dei particolari della stanza che ritrovò poi nella realtà.

C’è anche il famoso “sogno di inizio analisi” che di solito è il sogno che si fa subito dopo aver iniziato un’analisi.

Il setting attiva l’inconscio, attiva l’immaginazione, attiva un transfert, che può essere positivo ma anche negativo, per esempio andare da un analista pur sapendo che non ci sta simpatico e che ci fa sentire vittime.

Molti hanno fantasticato su cosa succede lì dentro, come è arredata, perché una stanza è asettica o perché l’altra è piena di quadri o piante, la fantasia e l’immaginazione hanno azione sul nostro pensiero e sui nostri comportamenti. Nel setting è pieno ma anche vuoto, in cui sono presenti gli Invisibili, come direbbe James Hillman, in cui l’inconscio dell’analizzando incontra quello dell’analista e così succede per gli Animus e dell’Anima corrispettivi.

Potrebbe anche essere paragonata alla camera oscura nella fotografia, le prime camere oscure erano infatti delle vere stanze al cui interno i pittori e gli scienziati lavoravano.

Potete immaginare, creare e costruire il luogo più meraviglioso della terra ma occorreranno sempre le persone perché il sogno diventi realtà. WAlt disney

Dott.ssa Elsa Falciani Psicologa Psicoterapeuta Analista Junghiana

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