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“Rendere umani gli esseri umani”: uno sguardo sul bullismo omofobico

Esattamente il 17 Maggio di 30 anni fa l’Oms (Organizzazione mondiale della Sanità) cancellò l’omosessualità dall’elenco delle malattie mentali. Oggi questa data è ricordata celebrando la “giornata mondiale contro l’omofobia”. La strada per arrivare a questo traguardo è stata lunga e penso che ancora molta strada dovremo fare per affermare appieno il principio di uguaglianza, il rispetto dei diritti umani, per promuovere una cultura dell’inclusione e della differenza.

Su quali aspetti possiamo e dobbiamo migliorarci?

“Rendere umani gli esseri umani” (2010) è il titolo di una raccolta di saggi di Urie Bronfenbrenner, uno psicologo di origine russa che ha svolto un grande lavoro di studio e di ricerca per cercare di identificare, comprendere e modificare le forze che sostengono, o in alcuni casi ostacolano, il processo di sviluppo. L’autore sostiene che le possibilità di crescita, di evoluzione e di benessere dell’uomo dipendano da una complessa rete di strutture che comprendono gli individui con le loro specificità biologiche e psicologiche, l’ambiente, i gruppi, la cultura, la società nel suo insieme. La complessità è data dal fatto che il soggetto umano si forma come Io e diventa Noi. Un Noi aperto non solo al tempo in cui il soggetto vive, ma anche alla storia che lo ha preceduto e anche al futuro.

Il pensiero di Bronfenbrenner e la rilettura dei testi di Giuseppe Burgio, dottore di ricerca in Pedagogia presso l’Università di Palermo, mi hanno portato ad interrogarmi su alcuni aspetti che derivano da riflessioni personali e professionali e che hanno a che fare con lo sviluppo della nostra società, con la crescita di noi esseri umani.

Come possiamo allora tenere conto del tempo in cui viviamo, delle esperienze che ci hanno preceduto guardando al futuro?

La premessa per provare a riflettere sul tema dell’omofobia, in particolar modo in una sua declinazione specifica, prevalentemente presente nel genere maschile e nel contesto scolastico, il bullismo omofobico; esso si manifesta con atti di prepotenza e abuso che si fondano sull’omofobia, rivolti a persone percepite come omosessuali o atipiche rispetto ai convenzionali ruoli di genere.

Burgio, dopo aver analizzato questo fenomeno, propone una teoria sulla maschilità, o meglio parla di pluralismo delle maschilità. Penso che parlare oggi di pluralismo di maschilità sia importante, se non indispensabile; a tutti, in particolar modo agli adolescenti che rappresentano il nostro futuro. Anche ai loro genitori. Ancora oggi si sentono voci di genitori che non accettano l’omosessualità dei propri figli; questi figli diventano improvvisamente estranei, temuti, allontanati, sbagliati. 

Cosa succede? Cosa c’è dietro tutto ciò?

Burgio analizza questo fenomeno come dispositivo formativo, tappa di una complessa, contraddittoria e problematica formazione alla maschilità in adolescenza. L’originalità dell’interpretazione di Burgio risiede proprio nella tesi che una delle cause del bullismo omofobico sia da ricercare nei complessi processi di costruzione dell’identità maschile nell’età più faticosa di tutte. Il bullismo crea una gerarchia di maschilità, dove in cima ci sono maschilità perfette, ideali e in fondo maschilità imperfette, da distruggere. Il bullismo omofobico così può essere interpretato come un modo per ristabilire, attraverso la violenza, una maschilità ideale, virile ed egemonica, che si esprime attraverso la violenza e il conflitto. 

La teoria dell’Analisi Transazionale, che rappresenta il mio sistema di riferimento clinico, mi permette di guardare alla violenza e all’aggressività anche in un altro modo, attraverso il concetto di passività e svalutazione, che ha a che fare con l’ignorare alcuni aspetti di sé e della situazione. Anche se all’apparenza attivo, il comportamento aggressivo è passivo perché la persona che lo agisce non valuta e non utilizza le proprie risorse all’interno di una determinata situazione. Così, l’atteggiamento o il comportamento violento di chi fa bullismo può essere visto come l’unica risposta possibile relativa ad una circostanza che per la persona è problematica. Per esempio un ragazzo può agire la violenza perché ha bisogno di affermarsi e dietro tale bisogno può esserci l’ansia di fronte alla diversità, la paura di  sentire minacciata la propria maschilità, la necessità di uniformarsi al proprio gruppo di pari ecc.

Queste riflessioni mi portano a considerare che è indispensabile trasmettere e insegnare agli adolescenti una cultura della differenza, una cultura emotiva, cognitiva e relazionale che li aiuti ad attraversare i compiti di sviluppo connessi all’identità all’interno di un modello sociale basato sulla complessità. 

Ritengo che tutti siamo chiamati a rispondere a questi importanti compiti educativi ed evolutivi. Questa è la responsabilità che ci spetta per il nostro futuro e quello dei nostri figli.

Educarci tutti ad un pensiero differente, in grado di riconoscere che esistono solo maschilità possibili tra molte in un panorama di molteplici maschilità; un pensiero che aiuta i ragazzi ad individuare quali possono essere e soprattutto quale può essere la maschilità che desiderano per loro. Possibilità, non gerarchia. Rispetto, non esclusione o violenza.

Credo inoltre che, a maggior ragione nella nostra realtà attuale, sia necessario favorire e diffondere una cultura della differenza, basata sul rispetto e sulla reciprocità; dove ciò che è diverso e differente viene visto e interpretato come una componente dell’identità, una risorsa individuale e sociale. Dove diverso può riguardare l’essere uomo o donna, una cultura, una religione, una disabilità, uno status; dove diversità sta ad indicare complessità. 

Per rendere umani gli esseri umani, appunto.

Dott.ssa Laura Musolino Psicologa Psicoterapeuta Analisi Transazionale Certificata (CTA) https://www.escogito.info/profilo?p=laura-musolino

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