Psicofarmaci? Grande mistero.
Gli psicofarmaci sono medicine sintetiche create in laboratorio indicati nella cura di alcuni dei più diffusi disturbi psicologici come la depressione, l’ansia, attacchi di panico, la maniacalità e le psicosi.
Gli psicofarmaci si suddividono in macro categorie:
antidepressivi
ansiolitici
stabilizzatori dell’umore
antipsicotici
È importante tenere presente che all’interno della stessa categoria ci sono differenze, anche considerevoli, tra un farmaco e l’altro e alcuni psicofarmaci hanno indicazioni terapeutiche molteplici, per esempio alcuni antidepressivi possono essere prescritti per i disturbi del sonno.
Gli psicofarmaci devono essere dai medici e/o dallo specialista psichiatra , lo psicologo psicoterapeuta non può prescrivere psicofarmaci, ma è possibile che ritenga adatto affiancare alla psicoterapia un supporto psicofarmacologico, inviando il paziente alla consulenza con lo specialista psichiatra. Da quel momento in poi psichiatra e psicoterapeuta collaborano costantemente tra loro per tutta la durata del trattamento, anzi devono collaborare per poter offrire al paziente un costante supporto.
Ogni psicoterapeuta ha una sua idea rispetto all’uso di psicofarmaci durante la terapia, l’importante è ascoltare il paziente e capire insieme a lui se c’è la necessità di avere un supporto anche farmacologico.
Il farmaco non va considerato il rimedio definitivo, ed è fondamentale ricordare al paziente che se il farmaco allevia la sofferenza non per questo è terminata la terapia ma favorisce uno stato mentale di collaborazione durante la terapia.
Molte persone tendono a gestire l’uso dei farmaci come un’aspirina, per esempio è classico che dopo 5 giorni di assunzione si stia meglio e che la persona di sua spontanea volontà modifichi le dosi, questo è controproducente. Bisogna costantemente ricordare al paziente che non deve assumere i farmaci a seconda dei suoi umori ma che deve seguire il dosaggio prefissato con lo psichiatra.
Per questo è fondamentale la collaborazione tra psicologo e psichiatra, ma possiamo anche vedere questa relazione invece che a due, a tre: psicologo-psichiatra-paziente. Coinvolgere il paziente nella terapia farmacologica lo aiuta ad avere più consapevolezza della terapia e ad assumersi la responsabilità della sua cura.
Il farmaco dev’essere assunto con regolarità e sempre sotto controllo dello psichiatra.
La credenza che prendere un farmaco lo fanno solo i matti non è fondata oppure c’è la possibilità che la persona viva l’assunzione di un farmaco come fallimento per questo è importante che sia coinvolto e informato sulla cura e sull’uso che ne deve fare. Qui è fondamentale il ruolo che riveste lo psichiatra e il rapporto che stabilisce con il paziente.
Ovvio l’uso e non l’abuso è la differenza che fa la cura.
Dott.ssa Elsa Falciani Psicologa Psicoterapeuta Analista Junghiana
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