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Pranzi, cene e veglioni: piccola guida di sopravvivenza



È lecito che ci si conceda qualche pasto più piacevole in questo periodo. Ma cosa possiamo intendere per piacevole? Mi sono reso conto che quello che mi ha sempre reso piacevole il Natale e le feste sono i piatti tradizionali preparati in famiglia, ma anche che nel tempo questo si è evoluto con me.

Ricordo le alici piccanti tra i tanti antipasti: da diversi anni non le trovo più in tavola, non le ho cercate, e mangio altro, ma non mi sembra che il mio Natale sia meno felice: quel che resta è il cucinare insieme, prenderci cura insieme di quello che condivideremo sulla tavola. E anche il numero di portate in famiglia si è ridotto, si è adattato a ciò di cui sento il bisogno. E ho notato che non mi sento triste né penso che mi manchi qualcosa nella pancia.

Ho cercato quindi di ragionare su questi aspetti – sì, anche durante le feste! - e vi propongo qualche riflessione.

Negli studi che accomunano neuroscienze e nutrizione, vi sono molti approfondimenti in merito all’assunzione del cibo e dei meccanismi che sottendono la sua regolazione (o dis-regolazione). Nell’ambito di questi studi si è riusciti a differenziare:

- la motivazione, intesa come la volontà di mangiare qualcosa (il “bisogno di…”), che comprende

anche il senso di fame vero e proprio;

- l’aspettoedonistico”, associabile sostanzialmente al “mi piace”;

- il “rinforzo” dato dall’associazione tra stimolo e l’assunzione del cibo, che di fatto “impariamo” con il tempo e crea le nostre care abitudini.

Quindi: (1) sentiamo il bisogno di mangiare (2) ci godiamo il nostro boccone (3) impariamo se quello che abbiamo mangiato ci porta soddisfazione (o meno). Le recenti tecniche di neuro-imaging hanno evidenziato che ad ognuno di questi passaggi corrisponde l’attivazione di un’area cerebrale.

Tendenzialmente quindi impariamo ad attribuire dei significati al cibo legati ad aspetti emotivi o di “ricompensa” che creano delle associazioni automatiche, diventano abitudini che confondiamo coi nostri reali bisogni.

Consideriamo poi che evolutivamente abbiamo una preferenza “ancestrale” a mangiare cibo molto calorico, difficilmente reperibile dai nostri antenati (es: molto grasso o ricco di zucchero) – spesso cibi che ora abbondano anche a livello di produzione industriale: come se una parte antica e istintiva del nostro cervello di dicesse “Hey, quanta abbondanza, mangia finché ce n’è, chissà quando ti ricapita!”.. e questo ci porta poi a mangiare più di quello che abbiamo effettivamente bisogno.

La mia proposta è di lavorare sul nostro approccio al cibo portando consapevolezza sull’atto del mangiare:

rallentiamo, concediamoci qualche attimo di silenzio in cui osserviamo il cibo e le nostre sensazioni (gusto, consistenza, sensazione di pienezza, di benessere o anche di malessere): questo aiuterà a tenere memoria del nostro pasto e delle sensazioni che il nostro corpo ci ha rimandato in merito.

Attenzione e memoria - come evidenziato in diversi (e anche rilevanti) studi di Suzanne Higgs e suoi colleghi, delle università di Birmingham e Oxford - vanno a influire positivamente sul nostro approccio al pasto successivo, portandoci ad una maggior consapevolezza e controllo sui bisogni del nostro corpo.

Cosa possiamo fare concretamente?


1. Se vogliamo concederci qualche piatto “importante” da un punto di vista calorico, proviamo a partecipare alla sua preparazione, se ci è possibile: ci aiuterà ad essere consapevoli della complessità che lo compone e della qualità degli ingredienti che nutriranno il nostro corpo.

2. Proviamo a rallentare l’atto del mangiare: guardiamo, tocchiamo, annusiamo i nostri bocconi, osserviamo come questo influenza le nostre sensazioni.

3. Osserviamo se i piatti che mangiamo hanno qualche significato emotivo per noi: ad es, “se qualcuno cucina l’arrosto per me, mi sento in famiglia”. Notiamo se questo influenza le nostre abitudini creando dei “falsi bisogni”, che magari poi ci portano a non digerire bene o a sentirci assonnati per tutto il giorno.

4. Proviamo a respirare mentre mangiamo, a posare la forchetta tra un boccone e l’altro, e notiamo se questo ha qualche effetto sulla sensazione di sazietà.

Se avete piacere, fatemi sapere nei commenti se ci avete provato e com’è andata!

- Eating attentively: a systematic review and meta-analysis of the effect of food intake memory and awareness of eating - E.Robinson, P.Aveyard and Suzanne Higgs, American Journal of Clinical Nutrition (2013) - https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/23446890/

- Reassessing wanting and liking in the study of mesolimbic influence on food intake - Saleem M. Nicola - American Journal of Physiology – Regulatory Integrative and Comparative Physiology (2016) – https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC5130579/

- The pleasure of food: underlying brain mechanisms of eating and other pleasures - Morten L

Kringelbach - Flavour (2015) -

- The Cognitive Control of Eating and Body Weight: It’s More Than What You “Think” - Terry L.

Davidson, Sabrina Jones, Megan Roy and Richard J. Stevenson – Frontiers in Psychology (2019) – https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC6381074/

- Mindful eating – per riscoprire una sana e gioiosa relazione con il cibo, Jan Chozen Bays, Enrico Damiani Editori Associati (2018)

 

Dott. Francesco Piazza Biologo Nutrizionista https://www.escogito.info/professionisti


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