Quello che stiamo vivendo è un periodo così inedito e particolare che, oltre a metterci alla prova individualmente, può avere forti ripercussioni anche sulle nostre relazioni e i nostri affetti.
Assistiamo infatti ad un cambiamento profondo delle nostre abitudini, ad un uso diverso dei nostri spazi, ed in particolare ad una difficoltà in termini di confini spazio-temporali tra lavoro/scuola e famiglia.
Tale condizione pone le basi per l’emergere, in taluni casi con molta forza, di alcune dinamiche relazionali e di conflitti.
Questo può rappresentare, quindi, un tempo di riflessione sul proprio rapporto di coppia: ci sentiamo incastrati in una relazione che non ci soddisfa o in cui ci accorgiamo di riversare rabbia e frustrazione?
La teoria dell’Analisi Transazionale, nata negli anni ‘60 in America dal suo padre fondatore, Eric Berne, ci fornisce un interessante modello di comunicazione umana, illustrando le dinamiche relazionali attraverso l’affascinante teoria dei “Giochi psicologici”, dove va precisato che per “gioco” non ci si riferisce qualcosa di “divertente”.
Il termine “gioco” indica uno schema di interazioni che avviene in modo inconsapevole, nel quale ci sentiamo intrappolati a causa della sua ripetitività.
Tali giochi, come dicevo, avvengono in assenza di consapevolezza, ma è possibile imparare a riconoscere lo schema sotteso, in modo da evitare che si arrivi sempre al medesimo finale, facilmente riconoscibile da un sentimento sgradevole (disagio, rabbia, delusione, frustrazione….) e dalla conclusione “è accaduto di nuovo!”.
Il Gioco è una struttura relazionale che, se diventa troppo profondo, può creare una frattura rispetto alla possibilità di tornare indietro.
Soffermandoci in particolare sui “giochi coniugali”, farò qualche esempio di interazioni che si evolvono in maniera caratteristica nelle relazioni di coppia.
Possiamo ritrovarci in uno dei ruoli tipici in giochi che Berne, in modo chiaro ed efficace , chiama “Prendimi a calci”, “Sto solo cercando di aiutarti” e “Spalle al muro”.
Per rappresentare i ruoli che interpretiamo all’interno dei giochi ci riferiamo a quelli individuati da Karpman: Salvatore, Vittima e Persecutore.
Il Salvatore è il ruolo interpretato da chi ha la tendenza a voler aiutare gli altri, sostituendosi spesso ad essi.
La Vittima, invece, svaluta se stessa, chiede spesso aiuto ad altri sentendosi incapace di affrontare problemi e situazioni.
Il Persecutore, infine, svaluta l’altro, criticandolo e assumendo un atteggiamento di superiorità e rimprovero.
Spesso abbiamo un ruolo “preferito” all’interno dei giochi, ma possiamo giocarne diversi in base alle circostanze e alle persone con cui ci relazioniamo.
Se prendiamo ad esempio il gioco “Sto solo cercando di aiutarti” e lo caliamo nella realtà della coppia, possiamo facilmente individuare una persona che cerca di offrire, anche quando non richiesto, il proprio aiuto al compagno o alla compagna, che inizialmente può accettarlo, ma alla lunga può spazientirsi o cercare di fare da sé. In tal caso il Salvatore non sentendosi apprezzato può pensare : “Ma come? Volevo solo aiutarti!”.
Quando in una coppia un partner crea delle condizioni di ostacolo, sabotando, inconsciamente, l’ intimità della coppia, farà in modo di far saltare dei piani mettendo il partner “spalle al muro”: irritato e offeso se ne andrà, ed inconsapevolmente il partner avrà ottenuto ciò che desiderava, evitare l’intimità.
Nel gioco “Prendimi a calci” uno o entrambi i partner sono giudicanti, tendono a puntualizzare ogni errore, sono molto spesso in conflitto che si protrarrà nel tempo o terminerà con una brusca rottura.
Come si conclude un gioco? Con un Tornaconto, ovvero un’emozione spiacevole accompagnata da pensieri negativi.
Questo meccanismo, come ci spiega Berne, viene appreso da ciascuno di noi fin dall’infanzia, per questo da adulti lo avvertiamo come automatico e tendiamo a riproporlo inconsapevolmente nelle relazioni importanti.
E’ come se, attraverso questo schema, chiedessimo a chi amiamo di darci ciò che avremmo voluto ricevere dai nostri genitori. Ma questo non è possibile: continuiamo a chiederlo nello stesso modo in cui lo facevamo da bambini, e come allora, continuiamo a non riceverlo.
Il rischio è di rimanere incastrati in un rapporto in cui non ci sentiamo compresi, in cui non vi è uno scambio affettivo reale, oppure di non permettere ad una relazione di essere nutritiva ed arricchente, ponendo frettolosamente fine al rapporto.
E’ possibile porre fine a questi schemi ripetitivi, infatti per ogni gioco c’è un comportamento, un’antitesi, che permette l’interruzione del gioco stesso.
È necessario però prima aver raggiunto la consapevolezza dello schema relazionale ripetitivo e del ruolo che tendenzialmente ricopriamo.
Quando riconosciamo che, attraverso un gioco, cerchiamo di confermare il nostro ruolo di Salvatore, Vittima o Persecutore, possiamo bloccare il gioco o rifiutarci di giocarlo, facendo qualcosa di diverso rispetto al solito, o dando una risposta diversa rispetto alle aspettative dell’altro.
Possiamo mettere in atto dei comportamenti creativi che consentono di realizzare un finale alternativo.
Non è semplice individuare un gioco in cui siamo implicati, proprio perché avviene a livello inconscio, ed in tal senso un percorso di psicoterapia può sostenere e facilitare la presa di consapevolezza di se stessi, aiutandoci a trovare delle nuove strategie che ci permettano di cambiare il finale del gioco, favorendo l’espressione del nostro sé più intimo e autentico.
Dott.ssa Eleonora Fidelio Psicologa Psicoterapeuta Analista Transazionale
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